OMELIA DEL CARDINALE ANGELO SCOLA PER LA CELEBRAZIONE DELL’INDULGENZA
PERO 2 aprile 2017
Carissime sorelle e carissimi fratelli nel Signore Gesù, in cui noi tutti siamo figlie e figli del Padre, voglio innanzitutto ringraziare don Maurizio, don Alessio e don Giacomo per l’invito che mi è stato rivolto a partecipare a questo buon e profondo gesto di domanda di perdono e che san Giovanni Paolo II, di cui oggi celebriamo il trapasso al cielo, ha concesso alla parrocchia della Visitazione di Maria, e che poi è stato esteso anche a quella dei santi Filippo e Giacomo in Cerchiate.
È un privilegio molto importante, e vedo che è ancora sentito. Lo intuisco dalla vostra partecipazione.
Perché questa invocazione di perdono, di cui noi abbiamo profondamente bisogno in quanto uomini, si accompagna anche a questo dono papale di ricevere l’indulgenza plenaria, alle condizioni che certamente vi sono state comunicate, per noi stessi, per ciascuno di noi, e anche per i nostri cari defunti. Cosa che abbiamo visto in maniera particolarmente chiara partendo dal cimitero con la nostra processione, dietro la Croce di Gesù.
Possiamo condensare il messaggio che il grande san Giovanni Paolo II ha lasciato alla Chiesa, dopo una vita intensa, capace di seguire tutti gli aspetti dell’umano (fu lavoratore, studioso, educatore, grande nel magistero) in quella celebre frase pronunciata all’inizio del pontificato: “Non abbiate paura!”. Non abbiate paura, paura di ogni sorta.
Questa paura, in questa V domenica di Quaresima, in forza della vostra bella iniziativa di indulgenza e di richiesta di perdono, è ben illustrata nel suo significato profondo dal santo Vangelo di oggi, sul quale soltanto mi permetterò di fare due osservazioni.
È molto importante che questo nostro gesto non vada perduto, ma resti nella vita che seguirà dopo la Celebrazione Eucaristica e ci accompagnerà nel quotidiano dei giorni a venire. Perché, come abbiamo scritto nella Visita Pastorale, e come abbiamo sentito richiamarci dal Papa, noi siamo fatti per vivere e non per sopravvivere. Insisteva il papa sabato scorso: Noi non dobbiamo rassegnarci, perché la rassegnazione conduce a quell’atteggiamento di fatica, di estraneità dalla vita concreta, di mancanza di tensione costruttiva verso il futuro, che è l’accidia, un vizio su cui i padri della Chiesa insistevano con molta forza, perché era molto facile, ed è ancora molto facile per noi cristiani, cadere in questa attitudine di dimenticanza. Magari partecipiamo a un gesto bellissimo e profondo come questo e, appena è compiuto, subito ce ne dimentichiamo. Un po’ come facciamo con la presenza di Gesù, della Vergine Santissima, di Dio Padre, e Spirito santo nella nostra vita: restano un po’ lontani, alle spalle. È come se, quando la vita ci prende quotidianamente, a partire dai nostri affetti, dal nostro lavoro e dal nostro riposo, noi non vedessimo più il rapporto benefico, salvifico, come abbiamo cantato, che Gesù dà al nostro modo di vivere.
il Vangelo di oggi è famosissimo, tutti noi lo conosciamo bene ed è talmente profondo che ci vorrebbe e ci vuole una vita per approfondirlo un pochino di più almeno ogni anno. E che cosa ci dice il vangelo di oggi? Ci dice che – per ricordare Giovanni Paolo II – non dobbiamo avere paura neppure della morte.
Il grande amico di Gesù Lazzaro, le sue amiche Marta e Maria, sono messe alla prova: Lazzaro si ammala e muore e Maria e Marta, secondo il loro diverso temperamento, come capita anche a noi, piangono addolorate questa morte, tutti noi, soprattutto adulti, abbiamo fatto questa esperienza, nulla come la perdita di un familiare, come il perdere una persona cara mette alla prova in profondità la nostra persona e ci mette di fronte alla grande domanda, alla prospettiva della nostra morte che, giustamente, durante la Quaresima ci viene richiamata. Ma non ci viene richiamata perché noi ne abbiamo paura fino a lasciarci terrorizzare. Certo la morte rimane brutta, ma ci viene richiamata a partire dalla nostra fede, dal fatto formidabile che Gesù, l’unico che poteva non morire, ha preso su di sé tutti i nostri peccati, i tuoi, i miei… i peccati di tutta l’umanità, tutte le nostre sofferenze, le nostre fatiche, le nostre incomprensioni, le nostre fragilità, le nostre durezze, le ha portate al nostro posto e, innocente, si è lasciato impalare sulla croce, pena ignominiosa, per liberarci dal peccato e per liberarci dalla morte.
Se avessimo tempo (ma magari voi potrete ritornare su questo passaggio biblico questa sera, nella settimane a venire, preparandovi bene al Triduo Pasquale), potremmo approfondire il dialogo che si svolge tra Marta e Gesù e, ancora prima, tra Gesù e i suoi discepoli, a partire da quella che a noi può sembrare una stranezza: gli dicono che Lazzaro è ammalato.
La notizia era certamente grave perché altrimenti non avrebbero percorso tanta strada a piedi per dirgliela, e Gesù – dice il Vangelo – sta ancora lì dov’era, non fa come faremmo noi, come facciamo noi di fronte ad un caro che sta per venir meno o comunque è gravemente ammalato, non va di corsa, si ferma. E poi incomincia parlare ai suoi dicendo che Lazzaro dorme, che lui lo sveglierà, a tal punto che i suoi non capiscono. “Ma come dorme? Se è a rischio di morte!”. Gesù va poi incontro a loro e ribadisce il fatto che lui lo richiamerà alla vita. E che cosa sta dicendo quando parla così con i suoi, ce lo spiega bene quando dice che questa morte è per la gloria di Dio e per la sua gloria, la gloria che la croce e la risurrezione meriteranno per il bene e la salvezza di noi tutti. E poi va. E vediamo che questo suo atteggiamento non è un atteggiamento di superiorità, ma è un atteggiamento pieno di umanità, tant’è vero che lui stesso a un certo punto scoppia nel pianto, mostrando così tutta la sua amicizia e l’intensità della prova per la momentanea perdita dell’amico Lazzaro. Ma qui vediamo poi il secondo gradino dell’intervento di Gesù, lo fa con Marta, quando incomincia a dialogare con la risurrezione. Marta ha già la fede nella risurrezione finale dei morti, ma non si aspetta il miracolo, il prodigio della risurrezione diretta che Gesù compie. E Gesù, lentamente la riconduce a riconoscere che fede in lui, che è la risurrezione e la vita, può – come Marta stessa riconosce – domandare al Padre ogni cosa. E allora Gesù fa risorgere il suo amico Lazzaro.
Ma voglio insistere ancora su una parola, una parola che è molto importante “Se tu credi” dice Gesù a Marta: Se tu credi che io sono la risurrezione e la vita tu vedrai le meraviglie di colui che coincide, che diventa la stessa cosa e la stessa identica realtà della risurrezione in atto.
Quindi il grande insegnamento che scaturisce dalla liturgia, dalla parola di oggi, è l’urgenza della fede. Allora ci dobbiamo chiedere: qual è il peso, il posto della fede nella nostra vita? Qual è? È con fede che giudichiamo tutto ciò che ci succede di buono e di meno buono? È con la fede che viviamo i rapporti tra di noi fino al perdono? Perché il gesto dell’indulgenza di oggi è un’espressione del suo amore di Dio e del suo perdono. È con la fede che vogliamo edificare una comunione cristiana intensa e autentica tra di noi. È con La fede che vogliamo contribuire alla edificazione di una società civile della vita buona. In una parola è con la fede che affrontiamo la vita e anche la prospettiva della morte che non è più il finire nel niente, ma è l’entrare nell’abbraccio della Trinità.
Ecco allora, carissime e carissimi, dobbiamo ora, riprendendo il sacrificio eucaristico, dobbiamo almeno per un omento, seguendo il ritmo della liturgia, guardare in faccia a Gesù che è risurrezione e vita. E mettere ai piedi della croce che abbiamo portato per tutta quanta la città, tutto ciò ci preme sul cuore, tutto ciò che in questo momento ci affatica, aprirci al suo abbraccio di amore, per dare a, nostra volta, amore e perdono. E voglio insistere su questo soprattutto per i piccolini che oggi hanno ricevuto il Padre nostro e che si stanno preparando a ricevere la Comunione e la santa Confermazione. Abbiamo un grande compito educativo: è la cosa principale. Sì, abbiamo tantissimi problemi, anche in Europa, è inutile stare a elencarli sempre, ma di gran lunga il problema più importante oggi è il problema dell’educazione, per cui ci voglio adulti, papà, mamme molto seriamente impegnate con Gesù che è via, verità e vita.
Rinnovo la mia gratitudine a voi tutti per avermi invitato a questo gesto che serve anche alla mia conversione e vi invito perciò a essere decisi nella vostra vita nel vivere il rapporto con Gesù, con il Padre che è nei cieli, con lo Spirito che i nostri ragazzi riceveranno, con Maria santissima, con tutti i santi e, in special modo, con san Giovanni Paolo II, che ha dotato le vostre due parrocchie di questo gesto che annualmente si ripete e che è molto bello, molto intenso e, direi, decisivo.
Dobbiamo andar vita da questa Eucaristia contenti e lieti per l’abbraccio di perdono che nell’indulgenza plenaria Gesù ci dà.