Omelia di Mons. Renatus Kwande, Vescovo di Bunda (Tanzania), alla festa di San Giovanni Paolo II

Cari Sacerdoti, cari Fedeli Cristiani qui presenti in questa celebrazione Eucaristica, sono veramente molto contento di essere qui a celebrare quest’Eucaristia con voi. La liturgia di oggi in cui celebriamo la Domenica della Dedicazione del Duomo di Milano, che coincide anche con la Festa di San Giovanni Paolo II, il Patrono della nostra comunità pastorale di Pero e Cerchiate, ci richiama all’Apostolato di Cristo, l’essere Buon Pastore.

Il Profeta Isaia, nella prima lettura, ci porta all’annuncio della consolazione e liberazione degli Israeliti dall’esilio Babilonese. I vizi capitali, come superbia, lussuria, ira, pigrizia e cosi via, ci portano in esilio, cioè ci distanziano all’amore di Dio e cosi noi diventiamo schiavi di peccato. Cosi è accaduto anche agli Israeliti. L’annuncio della liberazione delinea dunque la figura misteriosa del Signore che porta la speranza per i beni futuri, la salvezza. Il nostro Dio essendo misericordioso, non gode per nulla delle sofferenze del suo popolo. Lui ci consola e ci conforta sempre incondizionatamente, non ci abbandona. Nella logica dell’amore di Dio tutti noi oggi e sempre siamo chiamati ad accoglierlo e viverlo autenticamente e in modo sincero. Questa liberazione dalla schiavitù viene infatti realizzata e compiuta nel Mistero Pasquale di Gesù Cristo. Siamo chiamati dunque, come pastori e come seguaci di Cristo, a dare conforto, consolazione e speranza.

Tante volte, nella vita nostra ci troviamo magari in ansia o nella paura quando desideriamo fare o compiere qualche progetto. E cosi facciamo tutto il possibile per evitare ogni sorta di sofferenza. Facendo cosi andiamo contro la realtà della nostra vita Cristiana e quello quotidiana, cioè il rifiuto della responsabilità; carissimi non c’è Pasqua senza Venerdì Santo. Imitare Cristo implica senz’altro sopportare la sofferenza, e questo, certamente, definisce il vero Apostolato di Cristo. Come accenna apertamente e fortemente San Paolo nella seconda lettura, che c’è gioia nel sopportare sofferenza, cioè la Croce di Cristo. Se qualcuno vuol essere un buon pastore o un buon cristiano, la Croce di Cristo è inevitabile. I miei fedeli, miei genitori, la famiglia, i miei studenti, amici, compagni di lavoro e cosi via, sono gli esempi concreti di croce che dobbiamo sopportare sempre con amore. Per noi ministri (Vescovi, Sacerdoti) e voi fedeli cristiani, ognuno secondo alla sua chiamata, la finalità del nostro compito pastorale deve essere sempre e proprio quello di portare speranza alla gente e dare testimonianza di Cristo Crocifisso per la santità: “A questi Dio volle far conoscere quale fosse la splendida ricchezza di questo mistero tra i gentili: Cristo in noi, la speranza della gloria. Lui noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ognuno in ogni saggezza, per rendere ciascun uomo perfetto in Cristo” (Colossesi 1: 27-28).

Il dialogo tra Gesù e Pietro nel Vangelo secondo Giovanni, infatti, sottolinea il cuore dell’essere un vero e buon pastore. La domanda nella quale Gesù chiese a Pietro tre volte se lo amasse, ci permette ad scoprire cosa sia il nostro dovere come Cristiani. Certamente, è la stessa domanda che Gesù pone anche a noi oggi: ci chiede se veramente lo amiamo e se gli vogliamo bene. Il compito affidato a Pietro di prendersi cura delle pecore, non è un compito facile. È un compito molto difficile che chiede tanto, chiede molto impegno e sacrificio. Guidare gli altri significa amare, aiutare, dare luce, mettere in comunione, mostrare, correggere e cosi via. Ma questo compito di guida sarà più difficile se uno pensa di riuscirci e di essere capace di farlo da solo, senza l’aiuto di Dio. Il pensiero egocentrico di questo tipo porta sempre il ministero della Chiesa in pericolo. Per poter avere buoni frutti, il buon pastore deve essere una persona di preghiera, affidabile, umile di cuore e amoroso, uno che dà spazio per la collaborazione. Noi ministri, per esempio, siamo soli strumenti di Cristo, che con umiltà dobbiamo dare esempio e fare sempre la volontà di colui che ci ha chiamato, cioè portare la gente affidata a noi alla santità. Questa deve per forza essere la finalità del ministero della Chiesa. Come Pietro ha dato il “SÌ” alla proposta di Cristo Gesù, anche noi dobbiamo dire di “SÌ” nel fare la volontà di Dio.

Carissimi, queste tre letture che abbiamo ascoltato, riflettono profondamente anche la vita di San Giovanni Paolo II. Questo grande santo di cui facciamo oggi la festa, è stato un vero Pastore e una vera guida della Chiesa. Nel suo pontificato ha fatto tante cose per la Chiesa in cui anche noi siamo testimoni. Lo zelo e il motore del suo ministero erano l’amore per la Chiesa di Dio. Nella sua semplicità di vita ha chiamato tutta l’umanità ad aprirsi a Cristo. Il aprirsi a Cristo è la via alla santità di vita. Come il buon pastore, lui combatteva contro ogni forma che portava all’ingiustizia e non rispetto della dignità umana: cosi è stato, per esempio, contro il comunismo, l’aborto, l’eutanasia, l’omosessualità e tante altre forme immoralità. Carissimi fratelli e sorelle, anche noi dobbiamo essere più attenti del cosi detto “secolarismo” e sempre dobbiamo dire di NO immoralità; e guai a noi se non aiutiamo i nostri figli su queste cose! Il nostro mondo oggi è corrotto. Siamo appunto noi e certamente noi da curarlo. Come ha fatto San Giovanni Paolo II, contro questi tipi di comportamenti, anche noi dobbiamo prendere il coraggio di fare lo stesso.

Il vero testimone di Cristo, è colui che cerca la misericordia di Dio e riesce anche a perdonare. Come vi ricorderete circa trentasette (37) anni fa, quando San Giovanni Paolo II subì un attentato mortale in piazza San Pietro, lui ha perdonato il suo attentatore e, per mostrare questo, è andato a trovarlo in carcere. Questo gesto testimonia che lui è stato veramente il buon pastore, che anche noi, volendo, dobbiamo imitarlo. Dobbiamo riuscire a perdonarci gli uni gli altri. La comunità pastorale di Pero e Cerchiate di cui San Giovanni Paolo II è il Patrono, senz’altro deve essere una comunità dove si vive la misericordia. Deve essere una comunità che aiuta le persone ad avvicinarsi a Gesù, una comunità che dà speranza.

Attraverso le intercessioni di San Giovanni Paolo II, chiediamo al Dio Padre di aiutare la nostra comunitá nella ricerca dei beni futuri, la santitá. San Giovanni Paolo II, prega per noi!!