OMELIA PER LA COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUINTI 2020
La pandemia che stiamo vivendo ci ha fatto capire quanto sia importante accompagnare sia i morenti che i defunti.
La società in cui viviamo ci ha abituati a mettere da parte la morte, a evitare il confronto con lei, a voltare altrove la faccia. Salvo poi spettacolarizzarla sfruttandone la paura che genera e trasformandola in curiosità morbosa.
Ma accompagnare chi sta portando al termine la vita ci rende più umani e fa capire quanto siamo inadeguati e impotenti. Impariamo che il controllo della realtà è un’illusione. Ma in questa presa di coscienza emerge il desiderio di stare accanto a chi muore e, come morenti, di avere accanto qualcuno, di sapere che non siamo soli. Riscopriamo il valore della prossimità.
Anche a Pero c’è stato chi ha vissuto la morte dei suoi cari senza poterli accostare, senza poter stare a loro fisicamente accanto.
La fede ci permette di vivere con più verità l’esperienza del morire e dell’accompagnare i morenti. Anche quando ci accorgiamo di non poter fare più di tanto, che siamo completamente inadeguati, la fede trasforma il nostro desiderio di farci prossimi in preghiera. È una preghiera autentica: ci fa infatti scoprire quanto bisogno abbiamo di Dio, del suo amore, e ci permette di riconoscerlo già presente. È una preghiera che ci cambia la vita, ci fa crescere nella fede e nell’amore, come deve fare ogni vera preghiera.
Anche accompagnare chi è già morto è importante. Chi è abituato a vivere ripiegato su di sé, chi non alza mai lo sguardo oltre gli orizzonti della propria esperienza, chi non osa immaginare che ci sia una vita oltre la morte (come Gesù stesso invece ci mostra con la sua risurrezione) potrebbe pensare che sia superfluo accompagnare quanto sono già morti. Ma l’esperienza che anche a Pero e Cerchiate abbiamo vissuto di quelle 33 persone che non hanno avuto un funerale, ci fa capire che non è così. Abbiamo bisogno di rimanere nel mistero della morte, di tenere nel cuore chi ci ha fisicamente lasciato, per allargare lo sguardo sulla realtà e affrontarlo con maggior sapienza. Ma la paura ci frena e non sappiamo come fare.
Anche qui la fede in Cristo Gesù ci viene incontro. Con lui risorto scopriamo che è ancora possibile costruire una relazione, non certo basata su immaginarie forme di spiritismo, ma su una prospettiva di risurrezione che ci dona Speranza: la speranza che apre alla certezza che saremo ancora in Comunione. La preghiera di suffragio e, più ancora, l’Eucaristia, realizza una Comunione con Gesù che ci fa da tramite con i nostri cari defunti.
La morte può così diventare esperienza di affidamento. Noi possiamo affidare i nostri cari all’amore di Dio sapendo che lì troveranno riposo e complemento. Non solo. Allo stesso amore possiamo affidare anche noi stessi, confidando che solo in Dio troverà valore e pienezza la nostra vita.
È la nostra fede che permette di capire e vivere questi due insegnamenti facendoli emergere dall’esperienza della pandemia.
Ma io colgo un terzo insegnamento che deriva dai primi due.
Anche i morenti, come tutti i sofferenti, i malati e tutti gli emarginati, sono in comunione con noi. Anche i defunti sono parte della nostra Comunità.
Sono certamente parte della nostra Comunità Pastorale: il nostro essere Chiesa comprende anche i morenti e i defunti: ci fa essere tutti uniti.
Ma sono parte anche della nostra comunità sociale, sono in qualche modo, ma comunque sempre, cittadini di Pero.
La realtà visibile, sociale, civile che vogliamo costruire sarà davvero tale e completa solo quando si ricorderà anche di loro e se ne farà carico.
Ma la loro presenza, sia di morenti che di defunti, arricchisce la vita di tutti noi e la rende più vera, più reale, completa.
L’Eucaristia che celebriamo diventa allora importantissima. È una ricchezza per tutta la nostra Comunità.
Noi siamo qui a nome di tutti affinché questa pandemia non distrugga la nostra umanità. Solo la nostra fede, solo il Signore Gesù potrà salvarci dal non senso.
don Maurizio