AVVENTO, TEMPO DI SPERANZA 3

AVVENTO, TEMPO DI SPERANZA 3

LA SPERANZA È UN FEMORE ROTTO

Forrest Gump corre. Corre semplicemente perché ne ha voglia, ossia perché non ne può fare a meno. Corre finché non si sente «un po’ stanchino» e allora si ferma, si gira e torna a casa. All’inizio corre da solo, percorrendo in lungo e in largo gli Stati Uniti d’America. Poi, lentamente, una piccola folla prende a seguirlo, tutti a passo di corsa, tutti dietro alla speranza invisibile che lui, lo sconosciuto dell’Alabama, impersona senza volerlo, senza neppure saperlo. Lui non ha deciso di dare speranza, è qualcosa che gli è capitato e fino a quando ne avrà voglia continuerà a correre insieme a tutti coloro che vogliono sperare.

Questo è solo un film, ma nella persona di Gesù è inscritta una testimonianza viva di speranza, che si fa presente attraverso le opere che lui compie.

Anni fa uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà. Mead rispose che il primo segno di civiltà di una società era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori; non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo: sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive alla rottura di una gamba abbastanza a lungo perché l’osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso del tempo per stare con chi è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. È il Buon Samaritano che si china sulle nostre ferite, si prende cura, non ci lascia soli e perde tempo per noi. Questa è la testimonianza di Gesù che ci dà speranza e che ci invita a fare altrettanto.

Non servono grandi gesti. Per oggi ne basterebbe uno, piccolo, ma fatto, con gentilezza, per far risplendere la giornata e credere nel bene. Come ci ricorda Papa Francesco: «Ci sono persone che lo fanno e diventano stelle in mezzo all’oscurità».

Tra i tanti post che girano in questi giorni sui social mi ha emozionato questo: «Chiunque avesse l’isolamento Covid, senza parenti e avesse bisogno della spesa, di un farmaco, o qualsiasi altra cosa, mi può chiamare o scrivere in privato. Non è una colpa, non c’è pericolo ad aiutare mettendo una busta dietro ad una porta. Siamo tutti nella stessa barca e la ruota può girare». La gentilezza si rende disponibile con attenzione e cortesia.

Ci sono tante occasioni per offrire alle persone che ti stanno attorno uno sguardo, una parola, un saluto gentile. Luca Lorini, primario di rianimazione dell’ospedale di Bergamo: «Quando entri in terapia intensiva cosa puoi regalare a una vecchietta lucida e spaventata? Una medicina? Certo… ma sono convinto che il regalo più bello è un sorriso». Anche noi, in tempi di paura, abbiamo tremendamente bisogno che qualcuno ci regali un sorriso che apra alla speranza. «Sorridere è l’inizio dell’amore. – diceva Madre Teresa alle sue consorelle – «Siate gentili e misericordiose. Non lasciate che nessuno di quelli che vengono a voi se ne vada senza essere migliore e più felice».

don Alessio