Omelia per “Messa della notte” di Natale
Ho avuto modo nei giorni scorsi di contemplare un quadro, una natività dipinta da un famoso pittore, Sandro Botticelli, nel 1501, a Firenze. Si intitola “Natività mistica”. È un quadro pieno di simboli ed esprime il travaglio di una crisi spirituale dell’artista.
Non mi soffermo sui particolari, che sono una miniera di simboli. Mi hanno colpito alcuni angeli che “abbracciano”! Nella parte bassa del quadro tre angeli, simbolo delle tre virtù cardinali – la fede, la carità e la speranza – abbracciano tre uomini.
Ho pensato agli abbracci che ci mancano. Ai tanti abbracci che ci scambiavamo fino a neppure un anno fa e a come ci manchino ora. Forse non ci rendevamo conto di quanto fossero importanti.
Esistono ancora abbracci, anche in questa epidemia. Due innamorati se li scambiano ancora… ci sono ancora mamme che abbracciano i loro figli e qualche volta ci permettiamo di abbracciarci tra amici… Ma tanti abbracci mancano, soprattutto mancano quando qualcuno è positivo al virus o costretto all’isolamento, peggio ancora per chi è grave in ospedale, morente.
Ho pensato anche a come oggi possa essere pericoloso un abbraccio! Eppure… eppure deve ancora essere possibile abbracciare come gli angeli dipinti da Botticelli.
Ebbene, contemplando quel quadro e meditando la nascita di Gesù, ho capito che Gesù si è fatto uomo per farsi abbracciare e per abbracciarci.
Vorrei che sentissimo quell’abbraccio.
Vorrei provare a trasmettervelo.
Forse avete già provato a ricevere abbracci veri, non formali. Quando sono veri, danno calore, comunicano forza, trasmettono una carica, danno una scossa.
Ecco, il Natale di quest’anno è Gesù che vuole abbracciarci. È un contatto che dà la scossa, che propaga energia, rilancia la fede, ravviva la speranza, riaccende l’amore e la carità.
Io vorrei farvi percepire questo abbraccio, farvi sentire questa scossa, sperimentare il contatto con Gesù in questo Natale segnato invece da un terribile vuoto dei nostri abbracci.
Attenzione, perché la scossa fa male. Gesù può farci male, ci fa male, ci fa star male. Ma ci fa star male di quel male, che, alla fine, fa bene. Fa male perché brucia tanti nostri piccoli desideri, rompe tante comodità, sconvolge tanti nostri progetti, ci costringe a cambiare.
Mentre però fa male ci trasmette anche gioia e valore, ci fa vivere l’esperienza di essere figli, figli di Dio, da Lui amati, da Lui educati, da Lui guidati. Così cambia la nostra vita, così cominciamo a vivere davvero.
Pian piano, la nostra vita, rinnovata dall’incontro con Gesù si trasforma.
La prima cosa a cambiare è uno sguardo su noi stessi. Ci accorgiamo di essere, contemporaneamente, amati e peccatori. Siamo profondamente e immeritatamente amati, oltre il nostro peccato.
Cambia poi lo sguardo sui fratelli. I nostri cari diventano un dono prezioso nonostante i loro limiti, o forse proprio attraverso i loro limiti.
Ogni altro uomo o donna diventa fratello e sorella, Nessuno è più un avversario o un nemico, lo sguardo non è più di competizione, le divisioni si ricompongono. Insieme ci impegniamo. È il dono della pace.
Inizia una vita nuova fatta di piccoli gesti, ma ciascuno dei quali costruisce qualcosa di nuovo, entra dentro un progetto grandioso che solo Dio può aver pensato e può condurre.
Anche in questi tempi di pandemia possiamo tornare ad abbracciarci. Probabilmente non ancora fisicamente, ma certamente con il cuore.
Io vorrei trasmettervi l’abbraccio di Gesù. Non so se ci riuscirò, ma provate anche voi a trasmettere l’abbraccio di Gesù.
don Maurizio