III domenica di Avvento 2018

IL BENE È GIÀ QUI

C’è uno stupore e una specie di delusione che emergono nella liturgia di oggi. Sono collegati con il cammino di Avvento e con il nostro cammino di umiltà.

Possiamo esprimere lo stupore dicendo che “il bene é già qui”. Lo fa notare Gesù nel Vangelo ai discepoli di Giovanni Battista che gli chiedono se sia lui colui che deve venire. Subito dopo Gesù riconosce il bene che opera in Giovanni e lo proclama un grande. Nella lettura profetica su parla bene di Ciro, l’imperatore dei Persiani: lo si vede come un inviato di Dio, forse esagerando, ma certo apprezzando il fatto che Ciro abbia permesso il ritorno in patria degli Ebrei deportati in Babilonia. Anche Paolo, nell’Epistola, riconosce il tanto bene presente nel popolo ebraico.

Proprio Paolo, però, esprime anche la sua delusione davanti al fatto che i suoi confratelli ebrei non riconoscono Gesù come il bene più grande. La delusione, nella Parola di Dio oggi proclamata, nasce proprio nel fatto che il bene, pur essendo già presente e operante tra noi, spesso non è riconosciuto, è banalizzato o dato scontato.

Il passo che vogliamo fare oggi nel nostro cammino di umiltà consiste perciò nell’imparare a riconoscere il bene già presente tra noi. Credo che sia un bell’esercizio di umiltà perché ci chiede di valorizzare ogni più piccolo aspetto di bene, anche e soprattutto quello che non dipende da noi e che ci viene donato.

Il mese che abbiamo appena concluso è stato segnato da tantissimi lutti. Nelle ultime cinque settimane abbiamo celebrato ben 22 funerali! Per me è stato un esercizio duro, che mi ha chiesto e mi chiede tanta umiltà perché per ogni persona che ci ha lasciato mi sento sollecitato a riconoscere il bene che ha lasciato tra noi, a capire quale segno d’amore Dio ha realizzato grazie alla vita di chi affidavo alla misericordia divina. Ritengo sia un esercizio bello e importante per tutta la comunità. I nostri cari defunti ci mancano, ci fanno soffrire, ma sono nel Signore – questo lo crediamo davvero! – anche se non più tra noi. Tra noi rimane il bene che hanno realizzato, e questo bene è ancora qui!

Mi domando allora come possiamo esercitarci ad apprezzare e valorizzare il bene.

Mi permetto di offrire qualche suggerimento.

 

Credo che riconoscere il bene già presente non implichi il nascondere o ignorare il male che pure è presente. Ogni giorno la cronaca solleva scandali e mostra quanto male è presente nel mondo e tra noi. Anche la nostra Pero é stata colpita in questa settimana da uno scandalo che ci ha fatto guardare  e riconoscere qualcosa di negativo presente tra noi. Il male deve essere riconosciuto e chiamato per nome. Ma se giudicare il male è doveroso, non lo è altrettanto giudicare il colpevole. Il giudizio sulle persone merita sempre di essere soppesato maggiormente e richiede di non diventare mai condanna. Il riconoscimento del male ci deve spingere a capire che anche noi siamo in qualche modo colpevoli. Il cammino di umiltà di chiede infatti di saper condividere le colpe, assumendoci anche le nostre responsabilità, piuttosto che scaricare tutto su un capro espiatorio, che sarà pure colpevole, ma spesso è anche vittima di una situazione difficile.

 

Penso poi che dobbiamo imparare a benedire. Anche solo nel senso più immediato di dire-bene di tante persone, evidenziare il bene che riconosciamo in loro, quello che fanno o anche solo che risvegliano con la loro presenza. C’è del buono in ciascuno di noi e in tantissimi, in tutti. Tocca noi evidenziarlo dicendolo. Il primo da benedire è Dio: noi benediciamo Dio quando riconosciamo la sua presenza e il suo amore tra noi, quando lodiamo e cantiamo la sua gloria. Poi possiamo e dobbiamo benedire i nostri cari, esprimere loro la gioia di averli accanto e spiegare in che cosa ci rendono felici o per che cosa di loro siamo orgogliosi. Ci è anche chiesto di benedire il cibo quotidiano, il vestito che indossiamo, l’incontro più o meno casuale con questa o quella persona, il lavoro che tanti fanno per guadagnarsi da vivere, ma intanto servendo tutta la comunità e la società. Sono tante le benedizioni che possiamo esprimere.

Benedire è però di più di un semplice riconoscimento. Consiste nello spingere perché il bene che ciascuno può fare si manifesti. Benedire significa farci collaboratori del bene che ciascuno può offrire a tutti. Ci sono alcuni tra noi che in questi giorni visitano le famiglie in occasione del Natale. Diciamo che loro “visitano”, mentre i sacerdoti “benedicono”. Ma se è vero quanto abbiamo detto anche loro benedicono perché stimolano tutti a far crescere il bene per possono offrire alla comunità.

 

Infine penso che riconoscere il bene già presente tra noi significhi lasciarci benedire. C’è un bene anche in ciascuno di noi. Possiamo dirlo con umiltà perché quel bene non è solo frutto del nostro impegno, non è solo nostro merito, ma è dono, è grazia che Dio manifesta in noi. Le tante benedizioni che riceviamo sono il segno di un bene che Dio pone in noi e che ci permette di crescere, ci stimola, ci fa capire che davvero noi possiamo fare il bene, possiamo riconoscere di poter diffondere il bene in questo mondo, superando ogni critica. Più che criticare dobbiamo seminare il bene già presente, perché il bene è già qui. Perciò accogliamo anche l’infinita benedizione che Dio ci offre già in questa celebrazione.

don Maurizio