UN NUOVO SGUARDO ALLE FAMIGLIE
Rielaborazione dall’omelia
nella Messa a conclusione
della X giornata mondiale della famiglia.
Le letture che la liturgia oggi ci propone parlano di peccato, cioè del rifiuto dell’amore di Dio. Parlano di un peccato che si diffonde e che fa male a tutti, provoca sofferenza per tanti.
Parlano di un peccato al quale non possiamo sottrarci e che ci coinvolge, parlano di “peccato originale”, cioè di quel peccato che fin dall’origine dell’umanità dà origine a infiniti altri peccati. Ogni peccato provoca tanto male e sofferenza. Ogni peccato genera paura, che blocca e impedisce di agire, scegliere, vivere.
Le letture ci parlano anche di salvezza dal peccato, salvezza operata da Gesù, ci annunciano la salvezza e il bene operato da Gesù.
Le letture che la liturgia ci propone oggi offrono anche uno sguardo sulla famiglia, è uno sguardo che non è forse primario, ma che ci presenta la famiglia come un luogo, o forse “il” luogo privilegiato, in cui si consuma il peccato e nel quale si realizza la salvezza.
La lettura del libro della Genesi racconta del peccato della donna che non solo trasgredisce al comando divino, ma rifiuta quella proposta di amore che Dio le fa. Coinvolge nel suo peccato anche l’uomo, chiamato “marito” (anche se non si racconta sia mai stato celebrato alcun matrimonio, che – del resto – non poteva ancora esistere come istituzione a quel tempo). Il marito si lascia trascinare il quel peccato senza farsi troppe domande.
Chi invece si pone domande è Giuseppe, – nella pagina del Vangelo secondo Matteo che ci è stata annunciata – il “quasi” sposo di Maria. Lui di domande se ne fa tante e giustamente. Come può sposare quella donna che attende un figlio in modo così misterioso? Sta decidendo di allontanarla in segreto, quando l’angelo, in sogno, gli rivela che quel figlio “salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Così Giuseppe vince la paura ed è stimolato a dare inizio a una nuova famiglia come luogo di salvezza.
Alla luce di questa Parola di Dio che ci è stata annunciata posso dire che oggi, 26 giugno 2022, al termine del X incontro mondiale delle famiglie, oggi a Pero è arrivato il momento di formarci uno sguardo nuovo sulla famiglia, su tutte le famiglie e su ogni realtà familiare. Più precisamente è arrivato il momento di guardare ogni famiglia come luogo di salvezza per tutti.
Sembra che a noi le famiglie non interessino. Oppure c’è paura a guardare le famiglie, a considerarle e riflettere sulle potenzialità che la vita familiare offre. Siamo anche qui, o forse soprattutto qui, bloccati dal peccato.
Abbiamo sì interesse per la nostra famiglia, quella dalla quale veniamo o che abbiamo formato, ma è più un interesse egoistico. La famiglia rientra in quella sfera individuale, nella quale rifugiarci e rinchiuderci per difenderci dalla realtà, dalla società, e persino dalla Comunità ecclesiale. Non ci interessa aprirci e confrontarci per capire la salvezza che dalla famiglia scaturisce e per sostenere tante altre famiglie.
Ho alcuni sintomi ben chiari che mostrano il poco interesse che abbiamo per la famiglia.
Cinque anni fa sono stati proposti alcuni interessantissimi incontri per capire le possibilità della vita familiare. Erano presenti relatori di altissimo livello. Sono stati snobbati da quasi tutti noi. A uno dei tre incontri, con un esperto di fama internazionale, eravamo in sei, compresi i sacerdoti!
La scorsa quaresima abbiamo proposto due incontri in collegamento video su tematiche “limite” per riflettere sull’importanza di un’emergenza educativa di cui farci tutti carico e per capire come accogliere famiglie che vivono in situazioni di vita non secondo i canoni classici, famigli segnate dalla sofferenza. Abbiamo avuto un riscontro bassissimo, con solo una ventina di collegamenti!
In questo contesto è sempre più difficile scegliere di sposarsi e sposarsi in chiesa. Celebriamo ormai pochi matrimonio (qualche unità ogni anno) e le coppie che prepariamo al matrimonio sono per lo più giovani che arrivano da altre regioni di Italia, che hanno trovato qui una residenza, per lo più temporanea, e che celebrano il matrimonio al loro paese.
Lo sguardo nuovo che siamo chiamati ad avere deve essere uno sguardo di sofferenza e condivisione con chi soffre. E soprattutto con chiunque soffre in famiglia, e sono tanti, perché in famiglia si soffre, in famiglia nascono sofferenze e in famiglia si portano tante sofferenze generate al di fuori di essa. In famiglia si soffre certamente per le malattie, quando qualcuno è toccato nel corpo. In famiglia si soffre anche e tanto per conflitti, divisioni, incomprensioni, meschinità. Lo sguardo di sofferenza deve prendere il posto di uno sguardo di giudizio. Deve anzi diventare uno sguardo libero dalle rigidità di chi considera come famiglia solo quella “cosiddetta regolare”, fondata sul matrimonio o addirittura sul sacramento del matrimonio.
Lo sguardo nuovo che siamo chiamati ad avere deve essere uno sguardo di simpatia e solidarietà. Sia uno sguardo che esprime il nostro sostegno per chiunque cerchi di ricostruire un percorso d’amore. Mi auguro che anche per tante persone che qui a Pero soffrono per i loro fallimenti familiari, possano trovare, per esempio, la solidarietà che la nostra chiesa diocesana offre in cammini chiamati “Valle di Acor”, capaci di aiutare a rileggere il proprio vissuto alla luce della Parola di Dio, per riscoprire che l’amore di Dio non finisce e le sue strade sono infinite.
Lo sguardo nuovo che siamo chiamati ad avere deve essere uno sguardo rivolto alla meta dell’incontro pieno nel Signore. In questo senso dobbiamo sempre tendere al sacramento del matrimonio e dal sacramento sempre ripartire. Dove è possibile celebrare il sacramento si faccia di tutto per celebrarlo e celebrarlo bene, con la dovuta preparazione. Dove il sacramento del matrimonio è stato celebrato, non venga messo da parte, ma sia sempre fonte perenne di grazia e forza per un amore che è più grande del nostro. Il sacramento non sia mai solo celebrato, ma anche vissuto e ci stimoli a una vita di fede, speranza e carità sempre più profonda e vera. Il sacramento mostri quella salvezza che Gesù è venuto a portare.
Il nuovo sguardo che siamo chiamati ad avere sulla famiglia renda la famiglia un luogo di responsabilità. Proprio come deve esserlo oggi la Chiesa. In una società che tende a deresponsabilizzarsi, che genera una burocrazia immensa per prevenire eventuali future responsabilità, che scarica su altri le colpe. Il cristiano maturo, oggi, è chiamato a essere colui che si prende le responsabilità, che si fa carico dell’altro e se ne prende cura. Se questo è il cristiano, la famiglia sia il primo luogo dove impariamo a prenderci responsabilità.
In famiglia possiamo e dobbiamo imparare a riconoscere le colpe e i peccati, ad accettarli e superarli. Dobbiamo saper riconoscere, accettare e superare sia i nostri peccati, che quelli dei nostri cari, come quelli che nascono fuori dal giro familiare. Dobbiamo portarne tutti il peso e saper portare il peso di tutti.
In famiglia possiamo e dobbiamo imparare a prenderci cura. È in famiglia che impariamo a farci accanto a chi soffre, ad ascoltarlo e sostenerlo, a soffrire con lui e con lui muovere passi di guarigione. Ma in famiglia possiamo fare anche di più: possiamo prenderci cura anche di chi ha causato dolore e sofferenza, farci carico anche della sua colpa, scoprire quanto anche lui soffra. Non dimentichiamoci di prenderci cura anche e soprattutto di chi non ha più una famiglia o si sente comunque solo, perché una famiglia non può restare chiusa a nessuno.
In famiglia possiamo e dobbiamo imparare a prendere decisioni. È in famiglia che maturano scelte di vita anche forti e chiare. È in famiglia che maturano vocazioni, sia a favore della società e del mondo, sia a servizio della Chiesa. Solo una famiglia che vive con verità quella strada d’amore può formare persone che sappiano stimolarci tutti a rinnovare il mondo e incamminarci su strade di salvezza.
don Maurizio